Storia

BREVE STORIA MEDIEVALE DI BEROIDE

di Valentina Lupi e Alberto Quatrinelli

Beroide, nel cuore della valle spoletina, appare oggi come un piccolo borgo situato tra le mura di un vecchio castello, non dissimile da tanti altri che sorgono nei dintorni, se, abbandonate le vie principali, si va curiosando per le varie strade campestri che solcano la pianura umbra.
Tuttavia vale la pena ricostruire la sua storia innanzitutto perché le “microstorie” fanno luce sulle dinamiche delle “grandi” storie, e, in secondo luogo, perché Beroide ebbe nel periodo medievale una certa importanza sotto diversi punti di vista: ebbe rapporti contrastanti con il Comune dominante (Spoleto), fu una villa densamente popolata, il suo territorio era molto diverso da quello attuale. La vita di questa piccola comunità rurale nel medioevo, anche se cronologicamente lontana, aveva molti elementi di modernità. I rapporti di Beroide con Spoleto sono stati caratterizzati da momenti alterni di sottomissione e ribellione.
Il contado, che oggi identifica, con linguaggio arcaico, la generica campagna, nell’età comunale indicava l’area su cui ciascun comune cittadino rivendicava il diritto d’imporre la propria giurisdizione, sottomettendo e, se necessario, espellendo i locali signori di banno (grandi possidenti terrieri, sia laici sia ecclesiastici, che esercitavano potere giuridico anche su persone e beni non appartenenti al proprio patrimonio fondiario). Nel contado della città sorgevano infatti castelli e ville. Un catasto delle ville del Comune di Spoleto risalente al 1279, mentre era podestà Orso degli Orsini, ci fa conoscere il numero delle ville, delle quali nessuna era ancora diventata luogo fortificato, ossia castello. L’importanza di Beroide in epoca tardo medievale si deduce già da questo primo elenco del catasto, nel quale vicino al nome della villa veniva riportato il numero dei fuochi (ossia delle famiglie che la componevano), e l’ammontare cumulativo della ricchezza in libre. Beroide si trovava al primo posto sia per il numero dei fuochi, 208, molto alto, se consideriamo che le altre ville ne avevano da un minimo di 6, ad un massimo di 127, sia per il valore del loro reddito.
Negli anni successivi le ville aperte si fortificarono, divenendo così castelli o castra, soprattutto per scopi difensivi. Il castello sorgeva, quando era possibile, a cavaliere o sul fianco di un colle, proprio perché questa posizione consentiva una maggiore possibilità di protezione. Tuttavia esso non era necessariamente legato all’insediamento d’altura, poiché anche la pianura aveva bisogno di villaggi fortificati dove raccogliere, in caso di attacchi, la popolazione rurale (i casi di Beroide e Castel San Giovanni ne sono la prova). Il castello infatti, di solito, non era una semplice residenza signorile, come si potrebbe pensare, ma era la costruzione principale di un villaggio fortificato, che costituiva, insieme alla città, la struttura fondamentale dell’insediamento medievale. I modelli abitativi più modesti che si trovavano all’interno del castello erano semplici magazzini o opifici coperti con tegole di legno o di paglia. Nelle fonti scritte, accanto alle case si fa spesso menzione di cortili, aie o casilini, cioè spazi recintati per la sistemazione degli attrezzi e dei prodotti agricoli. La casa d’abitazione era completata con costruzioni annesse di uso diverso: stalle per i bovini e i suini; la cantina, talora distinta dall’edificio in cui si trovava il torchio; pagliai ed edifici destinati alla conservazione dei cibi, in particolare del grano. Non dovevano mancare anche locali per i piccoli lavori artigianali come ad esempio la tessitura. Strettamente legato all’economia domestica va ricordato l’orto, la parte più cospicua dell’area abitativa, difeso da recinti e fondamentale per l’alimentazione contadina. Il Sansi spiega così la costruzione del fortilizio di Beroide nel 1275:
I casi di guerra con Giano e con Trevi, o qualche sentore di vicine ostilità, dovettero far nascere o ridestare il pensiero di munire di qualche valida difesa anche il territorio del piano; perché nel mese di maggio in questo anno medesimo Giacomo Clanzani comperò a nome del Comune da Bonagiunta di Campello, e da prete Alito, […]alcuni tratti di terra posti in quel luogo occasione castri fatiendi […] Non so dire se il disegno avesse effetto in quello stesso tempo o più tardi, ma ciò mostra quando e donde uscisse la deliberazione che della villa di Beroide fece un castello”.
Il Fausti fa riferimento al 1279 come all’anno in cui Beroide sarebbe divenuto castello, tuttavia lo stesso autore pone dei dubbi sull’attendibilità di questa data dal momento che il castello di Beroide non figura tra quelli elencati nelle carte del 1352 e del 1361. Le possibili soluzioni a questa apparente incongruenza sono suggerite dallo stesso Sansi in due punti diversi della sua opera. La prima spiegazione potrebbe essere il fatto che il progetto, documentato in una delibera, non avesse poi avuto un riscontro nella pratica. Le delibere, infatti, pur essendo delle fonti molto importanti, rappresentano comunque la trascrizione dei verbali delle assemblee comunali, quindi non possiamo avere la certezza che poi quelle proposte si realizzassero concretamente. La seconda ipotesi è implicitamente dichiarata dal Sansi; cito di nuovo le sue parole:
Così dal 1378, in spazio di dieci, dodici anni, gli aperti villaggi si cinsero di nuovo di mura e di torri e si videro sorgere i castelli di Beroide, S. Brizio, Azzano, Protte […], alcuni dei quali lo erano già stati in altri tempi e poi per ribellione o per sospetto ridotti dalle città o dagli eserciti a ville aperte”.
È molto probabile, quindi, che il fortilizio di Beroide fosse stato veramente costruito intorno al 1279, ma successivamente per ribellione o sospetta tale, fu abbattuto per volere del Comune, tornando ad essere una villa aperta (motivo per cui non figura nelle carte del 1352 e del 1361).
Nel 1378 l’esistenza del castello di Beroide è certa. La struttura primitiva del castello era appunto la bastia impiantata su un terrapieno, circondata da un fossato. Questa semplice struttura consentiva già una prima difesa del villaggio: la bastia era infatti una fortificazione, spesso improvvisata, eretta con materiali d’occasione.
Il fossato era un elemento caratteristico dell’iconografia castellana, soprattutto in pianura, dove era molto più facile subire un eventuale attacco esterno. Poteva essere riempito o meno di acqua. Una porta minore, la postierla era utilizzata per i servizi giornalieri. Questo ultimo elemento è documentato anche nel caso di Beroide.
Il rifornimento idrico era una necessità di primaria importanza, e l’attestazione della fonte è la conferma di come il castello fosse il centro di un villaggio fortificato, all’interno del quale trovava rifugio la popolazione rurale con le sue abitazioni e i suoi terreni. Altri elementi strutturali non sono attestati in queste carte ma sono tutt’oggi visibili: le mura e le relative porte.
Il castello di Beroide aveva la pianta quadrata, come la maggior parte di quelli di pianura, circondata dalle mura, che consentivano un maggiore grado di difesa e delimitavano fisicamente i confini del villaggio fortificato, mentre le porte erano delle aperture nelle mura che consentivano l’accesso e l’uscita dal villaggio. Erano vegliate giorno e notte da turni di guardia. All’inizio dell’epoca comunale, l’importanza della fortificazione fu una necessità dettata da un contesto particolarmente bellicoso a causa delle lotte politiche e civili (ho più volte sottolineato la finalità difensiva di questo insediamento), e da una volontà di controllo territoriale della nascente istituzione cittadina.
La conquista del contado, al di là delle motivazioni ideologiche (ad esempio la concordia tra tutti i cittadini), era una volontà concretamente politica. Sottomettere il contado significava, per il Comune cittadino, dare innanzitutto sicurezza alla sua discussa esistenza, controllare vie di transito terrestri e fluviali, assicurarsi i rifornimenti necessari di viveri e materie prime, crearsi un mercato sicuro di sbocco per i suoi prodotti artigianali, porre sotto controllo un vasto patrimonio fondiario, e infine crearsi una massa di contribuenti su cui far gravare buona parte delle spese pubbliche della città.
La consapevolezza dell’oppressione politica dell’autorità comunale e la ricerca di una maggiore libertà per ottenere più diritti furono le ragioni che il Sansi propone per giustificare il primo tentativo di ribellione di Beroide a Spoleto, quando nel 1414 si sottomise al re di Napoli Ladislao.
Il re di Napoli, Ladislao Durazzo, stava portando a termine il suo programma di conquista quando arrivò nel contado di Spoleto che, pur opponendosi per la sua storica lealtà al Papa, non aveva i mezzi per arrestare il suo avanzamento. Nel 1414 re Ladislao arrivò alle porte del castello di Beroide.
Qui attuò devastazioni particolarmente cruente, tanto che il popolo dopo tre giorni si arrese con formale capitolazione, dichiarandosi suddito del re, concedendogli il dominio sulle sue terre, e impegnandosi a fornire vettovaglie al suo esercito.
I capitani del re promisero in suo nome di trattare i nuovi sudditi con amicizia, lasciando che fossero governati da Rodolfo da Camerino, finché non fosse conquistata l’intera città di Spoleto per sottometterla ad un unico dominio. Non li costringevano a nessun atto offensivo contro Spoleto e concedevano loro di poter coltivare le loro terre in sicurezza, facendoli esenti per quattro anni da tutte le contribuzioni. Il re Ladislao però morì prima di essere riuscito a concludere la sua impresa, i Beroidani sarebbero quindi dovuti tornare sotto la giurisdizione del Comune di Spoleto, ma non volendo fare ciò, nominarono loro signore Rodolfo da Varano. Anche nel periodo della tregua Spoleto aveva mandato più volte dei rappresentanti a Beroide nella speranza di ricondurre gli abitanti del castello all’obbedienza, evitando il ricorso alle armi.
I Beroidani invece si erano mantenuti fermi nelle loro posizioni chiedendo nuovamente la proroga della tregua. Furono messi in atto molti preparativi per quella occasione: fu ricercata la cooperazione di tutto il dominio spoletino, furono stanziati molti soldi per gli stipendi dei capitani “stranieri” chiamati a combattere, furono invocati i soccorsi del Malatesta. Non si dovevano infatti limitare le azioni militari al territorio di Beroide, ma dovevano investire il Ducato di Camerino, dai confini della montagna, in modo di combattere principalmente Rodolfo e le sue terre, nel nome del Comune di Spoleto.
Il 7 marzo s’ingiungeva ai Trevani di rompere le ostilità contro Beroide, chiedendo la loro collaborazione, si fortificavano S. Maria in Campo e la torre di Polo di Giovanni Beccano, che erano bastie contro il castello nemico (non è chiaro quali fossero queste torri), infine si impose di tagliare tutti gli alberi per un miglio intorno a Beroide (probabilmente con questo provvedimento si volevano ridurre le possibilità di nascondigli e imboscate). Nella prima metà del Quattrocento, il castello di Beroide rappresentò spesso un motivo di preoccupazione per il Comune spoletino, a causa delle sue frequenti ribellioni. La fase culminante di anni di tensione si ebbe nell’aprile del 1440, quando gli abitanti di Beroide uccisero un priore del Comune, tale Luca Antonio Nicolai, sette cittadini e molti altri uomini che si erano recati a Beroide per distruggere le mura del fortilizio.
Il 19 luglio i priori e i sei eletti per Beroide stabilirono che il giorno seguente i cittadini potessero recarsi a Beroide per mietere il grano nel territorio della villa e che la domenica successiva si sarebbe demolito il castello. Il 3 agosto i priori si disposero per la vendita dei beni confiscati ai ribelli. I Beroidani erano inermi di fronte a questi provvedimenti; tentarono tuttavia di rivolgersi al Papa chiedendo che almeno fosse loro concesso di raccogliere e commerciare liberamente i prodotti delle loro terre. A novembre dello stesso anno un breve del Papa ordinò che tutti i Beroidani, ad esclusione dei condannati, potessero cogliere liberamente i frutti delle loro terre. La vendetta economica era un forte deterrente in un’economia basata per lo più sulla sussistenza. Una posizione più dura fu mantenuta rispetto alla ricostruzione del castello, simbolo della forza e della ribellione. I priori di Spoleto e i sei cittadini eletti per la questione di Beroide sostennero che in alcun modo doveva essere riedificato.
Il 17 settembre del 1475 il vescovo di Assisi compì l’atto di restituzione al Comune di Spoleto di rocche, castelli e territori del contado, che per varie vicende Spoleto aveva perso nel corso degli ultimi anni; in quella occasione i massari delle ville prestarono il giuramento. Il consiglio generale, ricevute particolari garanzie e promesse di fedeltà e sottomissione da parte dei massari della villa di Beroide, diede il consenso affinché si potessero riedificare le mura del castello. Nel 1506 fu verbalizzata un’assemblea di settantatré uomini, abitanti di Beroide che si riunirono per deliberare la ricostruzione del fortilizio. Furono inviati rappresentati al legato per trattare la questione e autorizzare una colletta per la riedificazione.
Probabilmente quella ricostruzione ci ha consegnato il castello come ancora oggi lo vediamo.